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Vai allo shop28 Giugno 2022
Secondo l’architetto e designer milanese, qualità, convivialità e concretezza sono i nuovi volti del lusso
“Il ritorno del Salone del mobile era importante per tanti motivi: dal semplice desiderio di tornare a Milano in presenza, alla certezza di vedere delle cose interessanti perché tutte le aziende si sono presentate al top delle loro possibilità. Ma anche per il bisogno di ritrovare una calendarizzazione che in assenza del salone si era frammentata”. Con queste parole Nicola Gallizia commenta il ritrovato Salone del Mobile che si è appena concluso ribadendo la centralità di Milano e il suo primato di capitale mondiale del design. Città in cui del resto Gallizia è nato e dove si è laureato in architettura al Politecnico, e in cui ha il suo studio dal quale progetta case esclusive e bellissime in tutto il mondo, nonché arredi e luci per alcuni dei marchi più prestigiosi, Molteni&C e Dada in primis.
Cosa si richiede ad un arredo oggi?
In questo salone ho presentato per Molteni il nuovo sistema 505 che ho voluto fosse una risposta a una ritrovata esigenza di convivialità ma anche di organizzazione della zona giorno. All’interno contiene una serie di elementi funzionali che possono renderlo il luogo in cui durante la giornata succedono cose diverse: home office, area tv e contenimento chiuso perché in un soggiorno abbiamo bisogno di tante cose a portata di mano ma anche di poterle mettere in ordine facilmente. Negli ultimi tempi abbiamo visto i nostri figli trasformare il soggiorno in spazio di studio, di gioco e di incontro e quindi avere delle librerie con una parte chiusa capiente risponde proprio a queste esigenze.
È lo specchio della necessità di una progettazione più pragmatica?
È sicuramente una progettazione fatta pensando a cosa succederà nelle case, in particolare ai momenti di socialità. Per me il manifesto di questa nuovo approccio alla casa è il modulo bar del sistema 505: un elemento che entra nella maglia del sistema ma come una specie di teatro domestico si apre e ha tutto quello che serve per un bar domestico. É un tema al quale sta rispondendo anche tutto il mondo della cucina che torna ad essere uno spazio da vivere e in cui succedono cose diverse: non solo si cucina ma si studia, si lavora, si riceve. E deve rispondere a queste funzioni con una logica di bellezza di materiali e stili funzionali a tutto questo.
Come si sta evolvendo, parallelamente, il mondo del contract?
Ha ripreso in maniera ancora più consapevole il percorso intrapreso prima della pandemia. Questi spazi condivisi come alberghi e appartamenti serviti, vanno sempre più nella direzione di creare una dimensione domestica e accogliente. Proprio perché abbiamo riscoperto il piacere di passare del tempo con noi stessi in spazi che ci accolgono con luci, materiali, colori che li rendano delle isole in cui sentirsi protetti e molto a proprio agio. L’albergo come grande sorpresa e lusso vistoso è superato e lascia il passo a qualcosa di più semplice, pulito, lineare. Perché in fondo vogliamo essere noi i protagonisti di questo spazio che deve accoglierci e non stupirci con effetti speciali come è stato il trend fino a qualche anno fa.
In questo si intuisce anche una nuova definizione del lusso?
Il lusso sta anch’esso subendo un cambiamento. Ho dei clienti con case spettacolari che non avevano mai messo piede in cucina e durante il lock down l’anno scoperta. Una percentuale altissima di questa tipologia di clienti mi ha chiesto cambiamenti o rifacimenti per case in cui la cucina e gli altri spazi sono ora più connessi, senza rinunciare al fatto che ad un certo livello la casa è una dimostrazione di status. Ad esempio fino a qualche anno fa la cucina abitabile non apparteneva a questo target.
Un altro cambiamento del lusso è il passaggio generazionale, in paesi emergenti, come Oriente, Cina, Paesi Arabi, anche Sud America. I genitori avevano voluto case focalizzate sull’ostentazione del loro status, iperdecorate, piene di oro e oggetti dallo stile antico. La nuova generazione, che ha studiato in università europee o americane di alto livello si sono confrontate con coetanei per cui tutto questo fa parte del passato e ora vogliono case più pulite, lineari ma con una qualità altissima. Il saper fare dell’artigianato italiano diventa elemento fondante di prodotti puliti, essenziali, e questo riconosce il valore aggiunto che noi abbiamo come italiani di lavorare con artigiani straordinari, che sanno utilizzare materiali e tecniche su una progettazione contemporanea che creano oggetti unici.
Secondo lei questo saper fare e queste competenze uniche che abbiamo in Italia sono abbastanza coinvolte e tutelate?
C’è stato un periodo, che fortunatamente vedo chiudersi, in cui questi artigiani hanno avuto grandi difficoltà perché la richiesta di questi prodotti andava scemando, e non c’è stato sostegno da parte delle istituzioni o del sistema. Alcuni hanno chiuso, talvolta anche accusando il passaggio generazionale. Per altre aziende più solide è stato un momento di consapevolezza che determinate cose dovevano cambiare e per queste oggi ci sono grandi opportunità di espansione.
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