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Vai allo shop13 Dicembre 2022
L’apertura mentale, la contaminazione e la volontà di ripensare i processi sono i punti di riferimento della designer in questo momento
Lo “stile Urquiola” è un mix di colore, forme generose, trovate sofisticate. È uno stile che genera fascino e stupore, coniugando eleganza sostanziale e innovativa. Così come sono innovative le incursioni che la designer si concede in ambiti attigui, in primis il fashion design in cui esprime una visione femminile mai scontata e ricca di spunti creativi. Patricia Urquiola è un’icona vivente così come sono iconici tutti i suoi progetti, portati avanti con le aziende più prestigiose al mondo. Da Cassina, di cui è direttore artistico dal 2015, a Moroso che si presta a declinare con grande apertura le sue sperimentazioni formali, passando per Editions Milano, Flos, cc-tapis, Glas Italia, solo per citarne alcuni. “Con ciascuna di queste aziende si crea un rapporto unico ecco perché i progetti sono tutti molto diversi tra loro, aspetto di cui sono molto contenta” spiega.
È corretto dire che ultimamente le “tendenze” siano meno forti e si sta affermando lo stile del singolo designer?
Io penso che siamo sempre più aperti a commistioni con tutti gli altri e abbiamo tanto da ripensare in questo tempo che stiamo vivendo. Personalmente mi sono avvicinata non solo al campo del fashion design ma anche a figure interessantissime nel campo della filosofia e dell’arte. Cogliendo ogni occasione per creare delle belle relazioni e portarle dentro i lavori che faccio. Questo è molto importante per me perché credo che dobbiamo guardare le cose da molti punti di vista e perché credo profondamente nella contaminazione. Spesso da questi incontri nascono progetti sperimentali. Ad esempio, durante il COVID abbiamo fatto una ricerca per la produzione di mascherine con un’azienda che si occupa di tessuti tecnici, alla fine quel progetto non è andato a buon fine ma ne è nato un altro su un paio di scarpe/calzino. Sono incursioni che ci fanno cambiare attitudine ed è molto importante ripensare il proprio approccio non solo progettuale ma anche del processo. E lo stesso è successo con Max Mara per il quale è nata una capsule collection che ho fatto con grande divertimento.
Quali sono le priorità della progettazione oggi?
Nel tempo “sospeso” del Covid è nata una profonda riflessione sullo spazio domestico che è diventato uno spazio in cui si lavora e si trascorre molto più tempo. È una riflessione bella, anche se partita da una difficoltà, ma io credo – ed è sicuramente ciò che faccio con Cassina e altri – che il tema più importante sia quello del cambiamento dei processi produttivi in un’ottica di sostenibilità. Non riguarda solo le materie, si tratta anche di diffondere una nuova sensibilità in relazione alle superfici. Se dobbiamo convivere sempre di più con materiali che sono riciclati, ben vengano termini come “upcycled” che vuol dire trovare nuove qualità, nuovo valore, nuovo bello in questi materiali che vengono rigenerati e non sempre imitano ciò che erano prima. E penso che ogni azienda e ogni cliente sia pronto per affrontare questo tipo di discussione. Ad esempio, con Glas Italia abbiamo sperimentato un mix di scarti di vetro che creano una pasta con una superficie diversa da quella di partenza. È un vetro che offre nuove prestazioni visive e genera un “nuovo bello”.
Oggi molti designer iniziano a sperimentare la progettazione nel metaverso, lei come affronta questa convivenza tra reale e digitale?
Se il riscaldamento globale è il tema principale, un altro grande tema di oggi è stabilire quanto vogliamo progettare, intervenire, partecipare a questa realtà che comunque è parte della nostra vita, la nostra vita è invasa da una realtà fisica e da una realtà virtuale.
Nella progettazione di spazi contract e pubblici, è giusto dire che ci sia una sorta di convergenza con la progettazione degli spazi domestici?
C’è sicuramente una grande differenza tra progettazione di spazi pubblici e progettazione di spazi domestici ed è il tempo necessario a realizzarli, che nel caso dei primi è molto maggiore. Un aspetto comune a entrambi, invece, è la crescente attenzione ai materiali così come il desiderio di introdurre spazi dedicati al verde.